MOSTRA LA VALSASSINA DI LEONARDO2019-08-06T15:48:40+00:00

Una mostra e un filmato nel nome di una delle personalità più affascinanti della storia universale. Leonardo Da Vinci non è soltanto il pittore, l’architetto, lo scienziato e l’inventore che tutti conoscono. Non è soltanto il genio italiano più celebre al mondo. È – per dirla con un’espressione corrente – un’icona pop. Al solo evocarlo, il suo nome suscita curiosità e interesse fra un pubblico vastissimo. Quasi un’eco vertiginosa.
Ogni nuovo evento a lui dedicato solleva entusiasmo. Con questo proposito è nato il progetto LA VALSASSINA DI LEONARDO che intende fa rivivere al pubblico di oggi le emozioni e lo stupore del genio.
Spesso ci si rivolge a Leonardo con l’appellativo “genio toscano”. Certo, egli è nato ad Anchiano, una frazione di Vinci, il 15 aprile 1452. E a Firenze ha mosso i primi passi. Tuttavia quando giunge a Milano, nel 1482, è un artista in larga parte ancora incompreso. Il passaggio alla corte di Ludovico il Moro è l’episodio determinante della sua vita. In Lombardia completa la sua formazione: studia i fenomeni del mondo animato e inanimato, approfondisce la geologia, l’idraulica, la meccanica. Dipinge alcuni dei suoi maggiori capolavori.
Quando lascia il Ducato di Milano alla fine del 1499 è ormai circondato da quell’aura leggendaria che lo accompagnerà per sempre.

LA VALSASSINA DI LEONARDO è un evento ideato proprio per celebrare – a 500 anni dalla scomparsa del Maestro – l’importanza dei suoi soggiorni milanesi e delle escursioni compiute nel territorio lecchese.
Questa valle ha dato tanto alla Milano sforzesca: legname, rame, argento e soprattutto ferro. Qui, inoltre, si custodiscono i segreti di un’arte casearia che nel tempo hanno contagiato tutta la regione. Con rapide pennellate Leonardo riassume nelle sue annotazioni tutte le risorse minerarie e forestali presenti, adatte a soddisfare le enormi necessità del Ducato.
Dall’immensa bibliografia a lui dedicata e dai documenti autografi – i celeberrimi codici – sono stati estrapolati i momenti più significativi delle sue esplorazioni. L’obiettivo della mostra e del cortometraggio, però, non è solo quello di elencare le tappe. Grazie a un linguaggio divulgativo e a immagini in parte inedite e spettacolari, lo spettatore può ripercorrere in pochi minuti un affascinante viaggio d’epoca.

presso
COMUNITA’ MONTANA
VALSASSINA VALVARRONE VAL D’ESINO RIVIERA
Via Fornace Merlo, 2
23816 – Barzio (LC)

LEONARDO LOMBARDO

Spesso ci si rivolge a Leonardo con l’appellativo “genio toscano”. Certo, egli è nato ad Anchiano, una frazione di Vinci poco lontana da Firenze, il 15 aprile 1452. E al servizio di Lorenzo il Magnifico ha mosso i primi passi.
Quando giunge a Milano, nel 1482, è un artista in larga parte ancora incompreso, nonostante i suoi trent’anni suonati. Il passaggio alla corte di Ludovico il Moro è l’episodio determinante della sua vita. Si presenta al Duca con una lunga lettera, elencando tutti i campi in cui potrebbe essergli utile: dall’ingegneria all’architettura fino alla scultura e alla pittura.
L’inesauribile desiderio di affermazione del Moro ha bisogno di menti geniali, qual è quella di Leonardo. L’artista apre la sua bottega in Corte Vecchia, l’ex residenza ducale che insiste di fianco al Duomo nascente, dove ora sorge Palazzo Reale. Ma non rinuncia a viaggiare: visita Pavia, esplora l’Adda, compie escursioni fra le Prealpi e le Alpi.
In Lombardia Leonardo completa la sua formazione: studia i fenomeni del mondo animato e inanimato, approfondisce la geologia, l’idraulica, la meccanica, la botanica.
Dipinge alcuni dei suoi maggiori capolavori.
Quando lascia il Ducato di Milano, alla fine del 1499, è ormai circondato da quell’aura leggendaria che lo accompagnerà per il resto dei secoli.

L’era degli Sforza regala a Milano frutti sensazionali: si alzano nuovi palazzi, sorgono nuove chiese e ospedali. Il vecchio Castello di Porta Giovia, ricostruito da Francesco Sforza nel 1450, è ora la residenza stabile della corte ducale, che nel volgere di pochi decenni è divenuta una delle più ricche e fastose d’Europa. Il Moro affida a Leonardo l’ideazione di feste spettacolari, l’esecuzione di ritratti e lo studio per un monumento equestre in memoria di suo padre Francesco ponendo una sola raccomandazione: «Dovrà essere grandioso!».

LA BOTTEGA

Nelle stanze dell’antica residenza ducale messe a disposizione dallo Sforza, il Maestro avvia una fiorente bottega. Tra i seguaci della prima ora figurano il lecchese Marco d’Oggiono, il brianzolo Gian Giacomo Caprotti, ribattezzato da Leonardo stesso Salaì, il milanese Giovanni Antonio Boltraffio. Più tardi, durante il secondo soggiorno milanese, si aggiunge a loro Francesco Melzi. Saranno gli allievi a diffondere fuori dei confini milanesi e italiani le intuizioni vinciane e i cosiddetti canoni leonardeschi.

I FOSSILI

Un giorno, nella bottega di Leonardo viene abbandonato un sacco pieno di fossili. Preso com’è dalla costruzione della statua equestre, l’artista l’accantona in un angolo. Qualche giorno dopo però l’apre: davanti agli occhi gli cade una gran quantità di meravigliosi nicchi ancora uniti ai sassi. Tanto basta per ridestare in lui un vecchio sogno: esplorare le Prealpi e Alpi che nelle giornate di cielo terso si stagliano all’orizzonte di Milano.

DELLE OMBROSITA’ E CHIAREZZA

Non sappiamo con precisione quando e quante volte Leonardo sia stato in Valsassina. Né conosciamo l’itinerario intrapreso. Possiamo tuttavia formulare alcune ipotesi.
Forse risale il corso dell’Adda, che conosce bene perché spesso soggiorna a Vaprio, presso la villa di Girolamo Melzi, capitano della milizia milanese e padre di Francesco, destinato a diventare uno degli allievi prediletti del Maestro. Da lì studiail modo di renderne interamente navigabile il fiume per consentire la navigazione da Lecco alla città di Milano, passando per il naviglio della Martesana.
Oppure percorre la cosiddetta “carraia del ferro” che da Milano porta in Brianza.
Giunge in ogni caso a Lecco, dove osserva il trecentesco ponte ad archi multipli di Azzone Visconti, che secondo alcuni appare dietro la Gioconda. L’identificazione dei paesaggi raffigurati da Leonardo nei suoi capolavori universali suscita da sempre interesse. Non si tratta di meri esercizi accademici.
La critica è ormai concorde nel ritenere che l’artista con ogni probabilità ha raffigurato non impressioni, ma immagini reali. Scorci e vedute che nel corso del suo peregrinare per l’Italia ha ammirato dal vero.
Il viandante, che dalla Milano sforzesca intende muoversi verso il territorio di Lecco, lascia la città passando per Porta Nuova. Nei tratti di aperta campagna lo sguardo cade sulle Prealpi Lombarde. A levante, spicca il profilo dell’Arera. Spostando la vista verso tramontana appaiono le inconfondibili cime dentellate del Resegone e i massicci delle Grigne.

LE PREALPI

Leonardo scopre presto la bellezza di questo panorama e ne resta meravigliato. Nelle Collezioni Reali di Windsor sono conservati tre fogli in cui sono ritratte le Prealpi Lombarde: in uno sembrano riprese da Milano, negli altri due da una località lungo l’Adda o nelle immediate vicinanze. Nel primo si distinguono tre soggetti: un lungo panorama che va dal Cornizzolo al Pizzo dei Tre Signori con al centro le Grigne, un particolare del settore centrale di tale veduta, il Pizzo Arera nelle Prealpi bergamasche. Nel secondo lo scenario va dalle Grigne all’Albenza.
Nel terzo è protagonista il Resegone.

PROFILI DI MONTAGNE

Anche nelle raccolte della Veneranda Biblioteca Ambrosiana a Milano è custodito un foglio in cui compaiono le Prealpi lecchesi.
Si tratta di una testimonianza molto curiosa, inclusa nel Codice Resta. La pagina è occupata in gran parte dal disegno di un piede, che si ritiene opera dell’allievo Francesco Melzi. Nell’angolo in alto a sinistra s’intravede invece un profilo di montagne, una classica sanguigna di Leonardo, in cui si scorgono – non senza difficoltà – le Prealpi lecchesi: la Grigna, il monte Due Mani, il Resegone.

L’AZZURRO DELL’ARIA

Il rapporto di familiarità che Leonardo intrattiene con le Prealpi Lombarde è suggerito non solo dai disegni, ma anche dal fondo di alcuni dipinti. La rassomiglianza fra il paesaggio attorno al San Martino e quello che appare dietro la Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino (Parigi, Louvre), è impressionante. Anche l’azzurrino che avvolge i rilievi presenti in altri dipinti di Leonardo – si guardi La Madonna dei Fusi (New York, Collezione privata) – rinvia insistentemente alle atmosfere delle montagne lecchesi. Nel celebre Trattato della pittura, le sezioni titolate “Delle ombrosità e chiarezze dei monti”, “Da chi nasce l’azzurro dell’aria” o “Del colore delle montagne” sembrano scaturite proprio dall’osservazione di questi luoghi.

VALSASINA VIENE DI VERSO L’ITALIA

«Valsasina viene di verso la Italia; questa è quasi di simile forma e natura, nascievi assai mapello, ecci gran ruine e cadute d’acqua».

È la prima descrizione della Valsassina che ci offre Leonardo. Compare in un foglio del Codice Atlantico, lo stesso in cui sono annotati anche gli altri brani dedicati alla valle e ai suoi dintorni. Forse è ciò che resta di un quaderno in cui il Maestro raccoglie notizie e impressioni sui luoghi e i paesi visitati durante le escursioni nell’alta Lombardia.
La “valle nobilissima”, come la definisce Galeazzo Maria Sforza, meraviglia allora come oggi. Si conserva ancora l’impressione di entrare nella pace di un’età senza tempo e continua a sorprendere il rapido passaggio dalle cittadine in riva al lago agli oltre duemila metri di montagne abbaglianti.
Quando Leonardo visita la Valsassina, non esiste ancora una strada costiera.
La via si sviluppa nell’entroterra, fra i monti, e scende sulla costa per sentieri accidentati.
Lasciata Lecco, una lunga salita conduce a Ballabio. Da qui si può salire ai Piani dei Resinelli, grande sella adagiata ai piedi delle Grigne da cui si gode un panorama mozzafiato che spazia dalle Alpi Retiche fino al Monte Rosa, e sotto il lago di Lecco e gli specchi d’acqua della Brianza.

GROTTA DI LAORCA

Tra i primi incarichi che Leonardo riceve a Milano, c’è l’esecuzione di una pala d’altare per la Confraternita di Santa Maria della Concezione: la Vergine delle Rocce. La scena dell’incontro tra Gesù e Giovanni Battista si svolge in un paesaggio roccioso che appare molto simile alla grotta di Laorca, sopra Lecco. Non sono solo i caratteristici pinnacoli e la conformazione della roccia a ricordare il luogo, ma anche la vegetazione presente nell’opera. In particolare il Mapello (Aconitum Napellus), una pianta citata dal Maestro negli scritti dedicati alla Valsassina, abbondante su queste alture. Anche in botanica è un precursore: compie importanti osservazioni e anticipa di secoli alcune scoperte.

I TRE CORNI

Lo sfondo roccioso della Vergine delle Rocce richiama anche un’altra località lombarda. Dopo Paderno, l’Adda scorre profondamente incassata e le sue sponde assumono le sembianze di alte muraglie irte di rupi pittoresche e speroni rocciosi. È uno dei punti più belli di tutto il corso fluviale. In questa gola, fra le turbinose rapide, fanno bella mostra di sé tre massi, oggi in gran parte ricoperti dalla vegetazione. Lo scorcio, comunemente chiamato Tre Corni e certamente conosciuto da Leonardo, è molto simile a quello che occhieggia nel fondale del celebre dipinto.

I LAGHI BRIANTEI

Pure i Laghi Briantei di Annone, Pusiano, Alserio e Segrino figurano in un disegno di Leonardo. Sembrano osservati dall’alto, forse dai Piani dei Resinelli o dal Monte Barro. Da essi si figura di trarre ingenti quantitativi d’acqua da indirizzare verso il bacino dell’Adda per consentirne l’intera navigabilità. Osserva e rileva attentamente l’idrografia della zona.

«Il Lago di Pusiano versa in nel Lago di Segrino e d’Annone e di Sala. Il lago d’Annone ha 22 braccia più alta la pelle della sua acqua che la pelle dell’acqua del Lago di Lecco e 20 braccia è più alto il Lago di Pusiano che’l lago d’Annone le quali giunte colle braccia 22 dette, fan braccia 42, e questa è la maggiore altezza che abbia la pelle del Lago di Pusiano sopra la pelle del Lago di Lecco».

RAME, ARZENTO, FERRO E COSE FANTASTICHE

La Valsassina offre tanto al Ducato di Milano: legname, rame, argento e soprattutto ferro.
Qui, inoltre, si custodiscono i segreti di un’arte casearia che contageranno tutta la Lombardia.
L’estrazione, la fusione e la lavorazione del ferro sono indispensabili per la fabbricazione di attrezzi e utensili, ma soprattutto di armi e armature. Gli Sforza decidono di incrementare la produzione. Si trovano nuove vene, si costruiscono altri forni e si trasportano a valle carri colmi di materiale grezzo, destinato alle officine degli armaioli.
Insorgono due necessità: proteggere il fondovalle, e per questo si alzano o si rafforzano castelli e torri a difesa del transito, e rendere più celeri ed economici i trasporti delle materie prime.
Per il Ducato diventa una necessità tanto impellente quanto il loro reperimento.
Una via naturale esiste già, è l’Adda. Lungo il suo argine destro, a poca distanza del castello di Trezzo, Francesco Sforza ha fatto derivare il naviglio della Martesana che conduce le acque fino alla capitale. Tra Paderno e Cornate, però, la navigazione subisce un’interruzione.
La corte ducale si rivolge a Leonardo per trovare una soluzione a questo annoso problema e consentire ai natanti carichi di preziose risorse provenienti dalle valli prealpine di superare il periglioso ostacolo delle rapide.

CASTELLO DI BAIEDO

Ai tempi di Leonardo, la Valsassina è un corridoio privilegiato per raggiungere Lecco e Milano dalla Valtellina, la Val Chiavenna e i passi alpini. Rocche e torri di avvistamento offrono protezione ai viandanti. Il castello di Baiedo, che sorge su una maestosa rupe tondeggiante, è il principale sbarramento di questo sistema difensivo. Non a caso riceve le attenzioni di Leonardo, che disegna uno studio dettagliato per ampliarlo. Il destino della fortezza segue però vie differenti, nel 1513 è rasa al suolo. Altre testimonianze del complesso sistema posto a difesa del territorio sono la torre Arrigoni di Introbio e i resti di quella di Primaluna appartenuta alla nobile famiglia Della Torre.

CASCATA TROGGIA

«In Valsasina, infra Vimognie e Introbbio, a man destra entrando per la via di Leche si trova la Trosa fiume che cade da uno sasso altissimo, e cadendo entra sotto terra e li finisce il fiume».

È un altro dei brani valsassinesi scritti dal Maestro di proprio pugno. Il riferimento alla cascata Troggia è evidente. Cosa intendeva dire, però, Leonardo con l’espressione «e li finisce il fiume»? Ci si è interrogati a lungo. Forse, ai suoi tempi, l’acqua una volta caduta era inghiottita da qualche fessura e riappariva solo più avanti. O, più probabilmente, la scomparsa del fiume va intesa solo in senso figurato: gli spruzzi e i vapori creati dalla colonna d’acqua dopo che si è infranta al suolo, impedivano di vedere dove il fiume andava a finire.

I MINERALI

«3 miglia più in là si trova li edifizi dela vena del rame e dello arzento, presso a una terra detta Pra sancto Pietro e vene di ferro e cose fantastiche».

Leonardo osserva e annota ogni cosa. Dall’alto contempla le valli scavate dall’azione dei corsi d’acqua e nella sua mente geniale prende forma un ripensamento della storia terrestre. Guarda anche dentro le viscere della Grigna e si accorge di quanti minerali preziosi esse contengano: nel corso dei secoli hanno permesso di fabbricare armi e armature, attrezzi agricoli, lame, coltelli e tanti altri oggetti utili. Tutto questo oggi è raccontato dalle miniere di Cortabbio. In un ambiente ricco di colori e reperti preziosi, è possibile esplorare e apprezzare la ricchezza di queste montagne.

SULLA MONTAGNA PELATA: TRA GROTTE E MARI ANTICHI

La Grigna è la regina della Valsassina: svelta, dritta, snella, sfida le nuvole delle quali ha quasi il colore. Così la ricorda il naturalista lecchese Mario Cermenati, che del genio vinciano è stato studioso appassionato. Leonardo invece le dedica queste parole:

«La Grignia è più alta montagnia ch’abbin questi paesi ed è pelata».

In anni recenti sotto la cima settentrionale che si affaccia sulla Valsassina sono stati rinvenuti i resti di specie diverse tra pesci, crostacei e stelle marine. Sulle rocce è impressa la memoria di una fauna risalente a oltre duecento milioni di anni fa, quando le montagne lecchesi somigliavano a spiagge tropicali.
In realtà sin dai tempi di Antonio Stoppani qui sono stati ritrovati fossili che rinviano al Triassico. Tra di essi anche le tracce di uno dei primi Saurichthys mai segnalati.
Da poco è stato scoperto un altro esemplare del predatore preistorico, a sua volta dilaniato da un grande rettile.
Il primo a comprendere che la Terra non è un sistema statico e immutabile è proprio Leonardo. Osservando i fossili giunge alla conclusione che un tempo il mare si trovava dove ora c’è la terraferma. È fra gli insegnamenti più profondi che ci lascia: studiando i fenomeni della natura con metodo e rigore si possono spiegare gli accadimenti del passato e immaginare quelli futuri.

GROTTE E GHIACCIAIE

Le rocce di natura calcarea delle Grigne, sottoposte all’azione continua degli agenti atmosferici, permettono all’acqua di penetrare attraverso le fratture che si aprono nelle pareti, fino a formare grotte, archi naturali e “ghiacciaie”. Sempre nel Codice Atlantico è conservato un altro prezioso ricordo vinciano della Valsassina.

«E i magior sassi scoperti che si truovano in questi paesi sono le montagne di Mandello, visine alle montagnie di Leche e di Gravidonia. In verso Bellinzona a 30 miglia a Leco e quelle di valle Chiavenna; ma la magiore è quella di Mandello, la quale ha nella sua basa una busa di verso il lago, la quale va sotto 200 scalini e qui d’ogni tempo è diaccio e vento».

LA BUSA DELLA GRIGNA

Qual è tra le tante grotte presenti tra queste montagne la “busa” di cui parla Leonardo? Per alcuni è la ghiacciaia del Moncòdeno, sul versante nord del Grignone, nell’alta Valle dei Mulini. Per altri è “la Ferrera”, detta anche Grotta del Rame o dell’Acqua Bianca, sopra la frazione di Rongio. A favore della prima c’è la presenza del ghiaccio, ma si trova sul versante che dà in Valsassina e quindi non «di verso il lago» e oltre i 1600 metri, cioè non alla «basa» della Grigna settentrionale. La grotta della Ferrera invece si apre a 590 metri, sotto le pareti del Sasso Cavallo e del Sasso dei Carbonari, dà «verso il lago» ed è raggiungibile con una scalinata di sassi.

LE MONTAGNE DI MANDELLO

Secondo Leonardo, le «montagne di Mandello» sono «i maggior sassi scoperti che si truovano in questi paesi». Dunque più grandi non solo delle altre cime lecchesi, come di fatto è, ma pure di quelle sopra Gravedona e Chiavenna, la qual cosa non corrisponde al vero. È possibile che si tratti di un errore, del resto le misurazioni altimetriche sono ancora approssimative. O forse il Maestro non si riferisce all’altezza, ma piuttosto alla dimensione della mole rocciosa. O, ancora, la frase suggerisce che sulla Grigna sale per davvero e proprio per le fatiche dell’ascensione gli appare più alta e aspra delle vette circostanti.

IN SU LAGO DI COMO E IN VALLE DI TROZZO

Durante le escursioni nell’alta Lombardia, Leonardo è ospite di Marchesino Stanga, che a Milano abita in una casa sfarzosa davanti al Castello e possiede una sontuosa villa sopra il dosso di Bellagio.
Figura influente alla corte del Moro – è il segretario ducale sovrintendente all’erario e provveditore all’annona – spesso è incaricato anche dei pagamenti agli artisti che lavorano per il Duca e dei quali ama atteggiarsi a protettore. In un foglio del manoscritto B di Francia appare una nota del Maestro che prova la conoscenza tra i due: «addì 28 aprile ebbi da Marchesino lire 103 e soldi 12».
Ludovico Sforza affida allo Stanga complesse missioni diplomatiche. A lui si rivolge anche per incalzare pittori, scultori e architetti al suo servizio. Il 29 giugno del 1497 così scrive a Marchesino: «item de solicitare Leonardo fiorentino perché finisca l’opera del Refitorio delle Grazie principiata». Milano attende il completamento del Cenacolo, ma come spesso accade il Maestro viene distratto da altri progetti.
Dalla residenza di Bellagio, in compagnia di altri letterati e artisti, osserva le montagne e visita i luoghi rivieraschi, forse in qualche bel mese di maggio, il momento che egli stesso indica come il più propizio per questo genere di escursioni.

FIUMELACCIO

«A riscontro a Bellagio castello è il fiumelaccio, el quale cade, da allo più che braccia 100, dalla vena donde nascie apiobo nel lago con inistimabile strepito e romore, questa vena versa solamente agosto e settebre». La nota conferma il soggiorno presso la dimora di Marchesino Stanga. Essa sorge in cima al promontorio e da lì effettivamente guardando verso la sponda orientale del lago si scorge Fiumelatte, singolare corso a intermittenza tra i più brevi d’Italia che invece non è possibile osservare dal borgo di Bellagio, essendo posto in riva al ramo di Como.

PANORAMI LARIANI

Dalle finestre della casa oppure dai belvedere distribuiti nel giardino che corona la Villa, Leonardo contempla il vasto panorama circostante. Rimira la cascatella bianca e spumeggiante di Fiumelatte e il pittoresco borgo di Varenna sovrastato dal Castello di Vezio, ma può alzare lo sguardo anche sulle nude vette delle Grigne. Il soggiorno a Bellagio suona come un’altra prova evidente della ripetuta frequentazione dei luoghi lariani. È indicativo, del resto, che i soli disegni del Maestro attribuibili con certezza a reali vedute di montagne siano tutti riferibili alle Prealpi di Lecco e dintorni.

LA VALLE DI TROZZO

L’ultimo cenno alle divagazioni vinciane tra il lago e la montagna ci riporta al Codice Atlantico. Nel terzo passo valsassinese Leonardo cita la Valle di Trozzo, per noi la Valvarrone, ricordando che «produce assai abeti e pini e larici; è dove Ambrogio Ferreri fa venire il suo legniame». Ferreri è il commissario generale degli approvvigionamenti ai tempi del Moro. L’annotazione è attenta alla natura, ma ugualmente all’economia dei luoghi. Leonardo ha un animo da artista, ma è pure ingegnere e architetto. Con rapide pennellate riassume nei suoi scritti tutte le risorse minerarie e forestali che la Valsassina offre alle enormi necessità del Ducato milanese.